Tra i primi giovani talenti della community italiana di youBEAT creata nel 2014, Davide Kharfi è uno degli artisti di cui abbiamo seguito e supportato da maggior tempo il percorso ammirandone l’intraprendenza creativa, la capacità comunicativa e l’indole indipendente.
Vive a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Nasce e cresce in Italia da padre marocchino e madre italiana.
Oltre 20 milioni di stream su Spotify, dal primo successo “Hei Bae” nel 2016 che lo ha portato in vetta alle classifiche Dance iTunes e MTV e nella Spotify Viral Chart italiana per poi essere trasmesso su BBC Radio 1, 1Xtra, Kiss FM e le maggiori radio dance italiane.
Kharfi è stato supporto da Kiesza, Diplo, The Chainsmokers, Don Diablo, Giovanni Allevi e ha condiviso la consolle con artisti internazionali come Steve Aoki, Skrillex e Martin Garrix.
Diversi i remix su Soundcloud dalla particolare creatività come “Inside Out” dei The Chainsmokers, “Universe” di Benny Benassi e la più recente “abcdefu” di Gayle.
Artista sempre sul pezzo, docente freelance per Scuolazoo e curatore di Italia Music Lab.
Estroverso, socievole e disponibile sono 3 caratteristiche che rispecchiano proprio il suo segno zodiacale Aquarium, che rappresenta il titolo dell’album di debutto pubblicato il 21 Gennaio da indipendente. (dopo la parentesi di “Grattacieli” contenente 8 canzoni in lingua Italiana).
Dopo la nostra intervista all’inizio del lockdown totale in Italia nell’Aprile 2020 come primo ospite della nostra rubrica 6Shots, rieccoci a chiacchierare con Davide in occasione di questo importante passo per il suo percorso.
– “Perché un album, perché ora?” (Ste)
L’album nasce dall’esigenza di esprimermi a livello artistico e non limitarmi solo ai singoli. Spesso noi produttori veniamo confinati al ruolo di jukebox umani, che fanno dei singoli radiofonici, ma nessuno si interessa al nome dell’artista. Quando si cade in questo loop in cui si cerca sempre di fare un singolo più radiofonico dell’altro, per finire in playlist editoriali o in chart, ci si ritrova ad essere vincolati a una sorta di schema che va a uccidere l’arte. Il mio obiettivo, invece, è proprio creare una storia con la mia musica. L’album era l’unico modo per creare un immaginario vero e concreto di tutto quello che sono io, a livello artistico ma anche a livello umano. Era un’occasione anche per allenare un po’ la mia versatilità musicale, fare delle canzoni un po’ più particolari che non sarebbero mai uscite come singoli, ad esempio Aquarium o Tangeri, strutturalmente non adatte ad un ambito radiofonico-editoriale, ma che nel contesto dell’album secondo me guadagnano tanto e raccontano bene una storia. Il mio obiettivo è quello di offrire una visione all’ascoltatore, ma non ti nascondo che anche nell’ambito degli addetti ai lavori voglio dare una serietà al mio progetto e far vedere che anche da indipendente riesco a esprimermi e a creare qualcosa in questo mercato.
– Come avviene il processo creativo in studio per te? (Edo)
Nasce tutto dall’ascolto di tanti tipi di canzoni diverse. Spesso e volentieri creo delle playlist di canzoni che avrei voluto fare io e che mi rode un sacco non aver fatto, quindi le uso come reference per dar sfogo un po’ alla mia creatività. Vado a prendere la struttura di quella canzone, cerco di replicare le drums e da lì riparto un po’ con la creazione di accordi, dagli accordi passo agli arpeggi e dagli arpeggi vado a creare le melodie più main. Poi chiudo il progetto e lo ripendo dopo un paio di giorni e vado a modificare tutto per renderlo più unico, quindi magari cambio tonalità di base, poi cambio le drums, cercando di creare qualcosa di più particolare e inerente al mio stile. Da qui nasce il processo creativo che si va a distaccare totalmente dalla reference iniziale, per creare una canzone che è unica e che non sia una sorta di type beat di qualcos’altro che già esiste.
Poi giro il pezzo ai cantanti e aspetto di ricevere i vocal. Al 90% dei casi le canzoni nascono senza vocal e il cantante si deve adattare all’instrumental, che chiaramente può essere modificato in base alle sue esigenze. Cerco sempre di andare incontro al cantante. Più cresco a livello produttivo più capisco quanto sia fondamentale l’apporto di un songwriter alla canzone e credo che sia giusto trovare un punto di incontro tra cantante e producer.
– Hai sempre scelto l’indipendenza, ben prima che fosse “di moda”. Come vedi i prossimi anni per gli artisti indipendenti? (Rudy)
Io penso che un’esperienza come artista indipendente sia una sorta di formazione che tutti gli artisti dovrebbero fare. Ci devi passare prima o poi. È un po’ come quando stai con una ragazza, poi ti lascia e ci rimani sotto: devi imparare a star bene da solo per poi star bene con gli altri. Quello che sto facendo è un percorso. Chiaramente come obiettivo finale c’è quello di sposare una realtà che mi possa valorizzare, ma ad ora vedo il mio essere indipendente come una via per esprimermi al meglio in modo creativo. Penso che in futuro molte persone sceglieranno la mia stessa strada, come già sta succedendo, perché questo mercato si sta diversificando sempre di più.
– Dato che il concept dell’album si concentra sul tuo segno zodiacale, qual è il tuo ascendente e quali acquari del mondo hai visitato o ti piacerebbe visitare? (Matteo)
Aspetta che chiedo a mia sorella! *ride*
Io so tutte queste cose letteralmente grazie a mia sorella. Prima non ero minimamente ferrato sui segni zodiacali, sapevo solo di essere Acquario. Mi piaceva molto il blu come colore, è stato da sempre il mio colore preferito. Anche l’acqua è sempre stata un po’ la mia dimensione e non perché da piccolo facessi nuoto (anche perché facevo cagare). *ride* Comunque, io sono Acquario ascendente Capricorno, che per l’astrologia rappresenta una persona creativa, altruista, abbastanza estroversa, ma che allo stesso tempo sa anche essere molto introversa. Mi ci rivedo davvero in queste caratteristiche, anche se in realtà sono sempre stato un po’ titubante nei confronti delle varie credenze sui segni zodiacali. Un giorno mia sorella mi ha letto proprio tutta la descrizione del mio segno e del mio ascendente e sono rimasto sbalordito da quanto fosse simile alla persona che sono, quindi mi sono fatto un po’ trascinare da questo mood ed ero convinto che potesse sposarsi al meglio con l’album e con la sua comunicazione.
Ho visitato l’acquario a Valencia e quello di Milano. Chiaramente non c’è paragone fra i due: quello di Valencia è spettacolare. Quello di Milano è molto bello, abbiamo fatto delle foto per questo progetto e volevamo fare anche qualcosa di più grosso, che speriamo si potrà fare in futuro.
– Come hai scelto i cantanti per le tracce dell’album? C’è un criterio specifico? (Rudy)
Mi sono fatto aiutare tantissimo da SoundBetter, questa piattaforma dove cantanti e produttori si incontrano per scambiarsi competenze. C’è sempre stata l’idea di fare dei featuring di rilevanza per quest’album. Avevo chiuso con Sergio Sylvestre una bozza di un singolo, che però non è stata non è stata ultimata, quindi in chiusura di album ho virato su un artista emergente e sono molto soddisfatto del risultato. Il featuring più di rilievo è quello con i Xuitcasecity, due artisti americani della Florida che ho conosciuto tanto tempo fa su Soundcloud grazie proprio al networking del quale parlavamo prima. Dopo vari scambi di feedback, hanno deciso di fare una canzone con me. Questo singolo, Unlikely, è nato da questo rapporto di stima tra noi. Anche loro sono da poco artisti indipendenti. Abbiamo collaborato prima sul brano Collide con la voce di Mike Gomes, che tra l’altro scrive canzoni per tanti artisti internazionali, e poi su Unlikely, con entrambi i membri dei Xuitcasecity, Mike & Cam, due artisti molto talentuosi. Non a caso è una delle canzoni più forti dell’album.
– Immagina di dover presentare il tuo album a qualcuno che non ti conosce e che ti ascolta per la prima volta. Come lo descriveresti? (Edo)
Immagina di entrare in una sorta di bolla insonorizzata, dove i suoni esterni non ci sono e sei costretto a isolarti dal mondo per quei 33 minuti della durata dell’album. Cominci a farti questo viaggio immaginario: all’inizio, dentro la bolla, non ti è ben chiaro dove ti trovi, è tutto un po’ buio, cupo. È questa la funzione della canzone The Bubble, dare questa sensazione. Più vai avanti nel viaggio e più ti ritrovi in un luogo di cui capisci più o meno gli elementi: il blu, o comunque colori scuri ma tenui, leggeri, che ti trasportano. Ti senti un po’ traghettato in questa sorta di purgatorio musicale che va sempre più verso l’abisso, fino ad arrivare ad Aquarium, che è la canzone che descrive meglio l’album, con suoni leggeri e raffinati, eleganti e puliti, con delle percussioni un po’ più rudi a creare questa sorta di contrasto. Diventa letteralmente un viaggio mentale in cui la musica accompagna, non è una protagonista, il che ti permette di interpretare tutto in più modi. Si arriva così a Tangeri, una canzone molto più introspettiva, senza voce, che si collega anche alle mie origini e mi permette di spiegare il mio essere artista. Il viaggio si chiude con Unlikely, che è un po’ la mia essenza, la mia energia principale che è quella del dancefloor, anche per ricordare che sono nato prima come dj e solo dopo come producer.
– Ci sono elementi sonori ricorrenti che non possono mancare nelle tue tracce? (Edo)
Yes, percussioni molto dinamiche, che strizzano un po’ l’occhio alle mie origini orientali. L’arpeggio è immancabile. Penso abbiate notato ormai che la mia discografia è composta di arpeggi in praticamente tutte le canzoni. Un mood sempre abbastanza paraculo, passami il termine, che sembra malinconico ma in realtà è molto catchy. Questi sono gli elementi che mi contraddistinguono, oltre a dei BPM vari, mai comuni. Ad esempio, tutti fanno musica a 125 o 128 BPM, io la faccio a 123, 122, addirittura 118.
– Hai sempre creduto nel valore delle community anche per la tua personalità. Quanto è importante supportarsi e fare network e come stai agendo con tutti gli strumenti che ora si hanno a disposizione? (Matteo)
Penso che fare network sia la chiave, anche se nel nostro settore, soprattutto in Italia, c’è poca comunità. La colpa è in primis nostra: essendo l’EDM un ambito molto ristretto in Italia, con poche possibilità, quando qualche artista riesce a guadagnare qualcosa, spesso tende a tenerselo stretto per sé. Questo ha sempre penalizzato il networking e la community EDM italiana. Inoltre, è chiaro che ci sono pochi canali a disposizione per far sentire la propria musica e bisogna spesso puntare all’estero. Secondo me, la chiave (nonché ciò che sto cercando di fare) è creare una community legata proprio alla musica, al genere, al mood, al suono, e meno magari all’hype che c’è dietro a un artista, perché l’hype chiaramente scende, lo abbiamo visto in generi molto più influenti in Italia e anche per la dance è così. Sto cercando di usare tutti i mezzi che ho a disposizione, ma mi rendo conto che alcuni li sto trascurando, ad esempio Discord, dove non ho un canale e al momento non ho intenzione di farlo, però ho da poco cominciato anche a spingere su Telegram. Sto cercando di creare una community su più fronti. Diversificare troppo, spesso, fa perdere un sacco di tempo, però è un esperimento: vediamo se a lungo termine ci porterà veramente a qualcosa o meno.
– Che consigli daresti ad un indie che si approccia a pubblicare il suo primo album? Quali difficoltà hai incontrato? Cosa è stato invece più semplice del previsto? (Kevin)
Il primo consiglio è quello di creare una strategia editoriale prima di far uscire l’album, scegliere bene la data e darsi almeno due mesi di tempo per impostare tutta la comunicazione al meglio. La comunicazione è importante anche se sei un artista piccolo: devi dare nell’occhio, in primis alle tue cerchie, quindi paradossalmente anche ai tuoi vicini di casa e i tuoi amici di scuola a cui della musica non frega niente, perché se colpisci loro hai la possibilità di colpire il pubblico medio che per te è fondamentale per ricevere consensi. Ragiona come un politico in campagna elettorale. Devi fare di tutto, ma che sia coerente col tuo essere musicale.
Tra le difficoltà incontrate devo dire che la peggiore è quella di spingere più canzoni. In una single release, spingi una canzone e ti concentri solo su quella. Quando spingi un album devi cercare di non trascurare nessuna delle canzoni che escono per non creare dislivello, anche se inevitabilmente ci sarà una main track che andrà più delle altre, come è ovvio che sia anche in ambito editoriale nelle varie piattaforme di streaming.
La cosa più semplice del previsto è stata trovare un gruppo di persone in qualsiasi ambito, dalla press fino alle cover art, che fossero prese dal progetto e volessero appoggiarlo, nonostante io non sia un artista che può offrire un gran budget di lavoro per tutti.
– Qual è la collaborazione dei tuoi sogni? (Edo)
Ho sempre sognato di incontrare Skrillex anche solo per guardarlo negli occhi e dirgli quanto lo stimo. Una collaborazione sarebbe incredibile quanto improbabile in un mondo reale, però mai dire mai. Ci sono tanti artisti che mi fanno impazzire, ne cito uno su tutti: SG Lewis. Tra gli italiani: Jovanotti, Coez e Salmo.