Primo appuntamento del 2021 con NextGen, la nostra rubrica dedicata ai giovani talenti EDM italiani.

Questa volta facciamo tappa in Sardegna, più precisamente a Cagliari, per scoprire Carlo Whale, che con il suo stile unico riesce a trasformare in musica le sensazioni che gli regala la sua terra natia.

Carlo_Whale

Hai alle spalle una formazione classica, alla quale hai unito studi in conservatorio sulla musica elettronica. Tutto ciò si sente nelle tue produzioni, caratterizzate da tessuti melodici peculiari. L’ascolto e lo studio di quali compositori classici consiglieresti ad un neofita-producer “elettronico” per approfondire questo campo?

Per quanto mi riguarda, i compositori a cui concettualmente mi ispiro di più sono principalmente tre. Il primo è Erik Satie, considerato il creatore della musica d’ambiente, che riesce ad essere estremamente attuale ancora oggi, dopo oltre un secolo. Il secondo è John Cage, un pioniere della musica elettronica di cui ammiro tantissimo il lavoro sperimentale sulle timbriche, in particolare gli studi sul “pianoforte preparato”. Il terzo è Steve Reich, il quale è uno dei maggiori rappresentanti del minimalismo musicale, che consiglio per il suo interesse verso gli elementi ritmici spesso continui e ininterrotti.

Abbiamo parlato della tua formazione classica. Ritorniamo ora nel mondo elettronico. Utilizzi sintetizzatori hardware o software? Quale non può assolutamente mancare nelle tue tracce e perché?

In studio ho un solo sintetizzatore hardware, il Prophet REV2-8, che uso praticamente in tutte le tracce e con cui creo buona parte degli elementi melodici e armonici. Ormai il divario tra analogico e digitale, che poteva avere un senso qualche anno fa, si è assottigliato talmente tanto che la differenza è ridotta ad una questione di gusti, più che di effettive prestazioni. A me piace molto avere il controllo sui knob “fisici” del Prophet, tanto quanto mi piace lavorare con il mouse e le automazioni sui software. Di questi, quelli che spremo di più sono senza dubbio Diva e Serum, entrambi molto versatili e in grado di tirare fuori sonorità molto interessanti.

La progressione delle tue tracce fluisce tra il minimal e il maximal nel giro di qualche barra. Lo si sente perfettamente, tra le tante, anche nella tua ultima produzione uscita su Einmusika “No Romance”. Sei solito seguire un pattern predefinito o lasci aperta la porta all’improvvisazione?

Cerco sempre di lasciare spazio all’improvvisazione, ed è raro che usi dei pattern predefiniti in fase di composizione. Certo, alcuni elementi rimangono imprescindibili e a questi cerco di dare una connotazione che li renda riconoscibili, un mio marchio di fabbrica. Certe tipologie di suoni fanno da fil rouge tra le mie produzioni perché li sento proprio come “miei”, fanno parte del mio gusto, ma cerco sempre di introdurre qualcosa di diverso a livello timbrico. Sul piano degli arrangiamenti invece l’improvvisazione è alla base, a partire dalla scrittura delle melodie e delle relative variazioni armoniche, fino ad arrivare alla parte ritmica e alla struttura della traccia in sé, sulla quale è interessante sperimentare per quanto comunque sia necessario rimanere entro certi confini per renderla “suonabile”.

Le tue produzioni sembrano voler ricreare un’atmosfera “eterea”. È effettivamente così? Da dove deriva questa tua intenzione?

Effettivamente è così, cerco di creare sempre un’atmosfera di quel tipo nelle mie tracce. Amo molto la musica d’ambiente e volente o nolente finisco sempre per portarmi dietro queste influenze quando faccio musica, è una cosa che mi viene proprio naturale. Comincio sempre a lavorare su una nuova idea partendo dalla melodia, dal suono principale e dalle atmosfere, che per me sono i pilastri fondamentali per dare anima alla traccia e anche per capire che “tiro” prenderà la produzione. In base a questi elementi capisco subito se finirò per produrre una traccia più spinta, tipo Privilege o Wonder, o invece una più introspettiva come Breeze o la stessa No Romance.

In un momento storico come quello che stiamo vivendo, quale direzione pensi prenderà la tua musica?

Beh questa è una bella domanda… Credo che la musica sia inevitabilmente un prodotto dei tempi e un riflesso di questi ma i fattori di influenza possono essere infiniti, che poi è la ragione della bellissima e vastissima diversità di stili e generi attualmente conosciuti. Sinceramente non credo che il mio approccio al fare musica cambierà in modo radicale da qui a breve. Per qualche momento durante le fasi di lockdown ho provato a sperimentare con qualcosa di orientato più all’ascolto che alla pista, ma non credo che questo materiale uscirà dal mio hard disk, almeno non per ora. È stato più una valvola di sfogo personale. Al contrario, anche se a casa non è la stessa cosa del club o del festival, sono convinto che dobbiamo continuare a produrre e ascoltare musica da dancefloor, per tornare più carichi che mai appena ce ne sarà data la possibilità.

Con chi vorresti collaborare in futuro?

Penso che potrei impazzire al pensiero di fare un disco con i Rüfüs Du Sol: sono semplicemente geniali, amo il loro stile, la loro tecnica e il mood malinconico ed introspettivo dei loro brani, nei quali mi rispecchio molto. Un altro artista che stimo molto è Marino Canal, ha una classe innata e le sue produzioni sono sempre eleganti e tecnicamente raffinatissime.

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