Analisi sulla situazione attuale del clubbing nazionale e spunti sulle evoluzioni del settore a livello globale.

Negli ultimi giorni i media nazionali hanno riaccennato (perché si ritaglia sempre e solo un accenno al argomento) qualcosa sulla situazione attuale del settore del clubbing. Sono stati costretti a farlo per dar voce all’ennesimo allarme inascoltato di molti club italiani che spontaneamente hanno partecipato all’iniziativa social #ultimoconcerto (promossa da KeepOn Live, Arci e Assomusica, con la collaborazione di Live DMA) pubblicando un collage delle foto degli ingressi dei loro celebri locali sotto lo sfondo di un grosso punto interrogativo bianco o, chiamiamolo pure “white question mark” perché infondo la problematica, seppur affrontata in modalità differenti, è davvero seria e globale.
Prendendo in prestito il titolo della traccia di Armin Van Buuren in featuring col russo Shapov, ci chiediamo se il 2021 sarà THE LAST DANCER, “l’ultimo ballerino” per tante realtà e situazioni o se invece insieme al suo predecessore 2020 ha posto gli spunti per un refresh del movimento dal quale poter ripartire dal 2022 nella speranza ottimistica di un previsto ritorno graduale ad una piena normalità. La citazione musicale è doppiamente voluta perché infondo la traccia è un crescere e decrescere di beat e velocità, la melodia riparte e poi si riferma quasi, proprio come il ritmo dell’epoca che stiamo vivendo tutti.

All’iniziativa partecipano trasversalmente club di tutto lo stivale da nord a sud e senza trascurane volutamente nessuno, estraiamo dall’elenco completo per area geografica gli esempi dei milanesi Magazzini Generali, Fabrique, Alcatraz; i veneti Hall, New Age, Vinile; i bolognesi Estragon e Lokomotiv; il campano Duel Beat o il pugliese Demode’.

«Quando parliamo di live club dobbiamo pensare anzitutto a un insieme di strutture da mantenere, a uno staff composto da numerose persone che investono energie e impegno costanti per offrire una proposta legata alla musica contemporanea di qualità. Parliamo di spazi che si trovano oggi in una situazione di assoluta emergenza, senza alcuna certezza sul futuro e sulla effettiva possibilità di riuscire a superare questa lunga fase di crisi.

Parliamo di palchi che negli anni hanno ospitato e cresciuto artisti di ogni genere, compresi quelli che oggi vengono acclamati negli stadi e nei grandi festival nazionali e internazionali e di spazi che hanno formato le figure professionali più affermate e riconosciute di questo settore.

Sale concerto e live club sono fucine di cultura. Luoghi che permettono ai musicisti di esprimersi, di creare e diffondere arte, di incontrare il pubblico. Ben lontano dall’essere meri punti di ritrovo, queste realtà si distinguono dai tanto discussi protagonisti della movida per la loro capacità di veicolare aggregazione e socialità creativa e sicura nei territori. Sono spazi che, nella maggioranza dei casi, sono rimasti in rigoroso e rispettoso silenzio da ormai un anno».

«Gli aderenti all’iniziativa che, oggi, sotto ai tanti punti interrogativi, hanno voluto mostrare le loro facciate sono tantissimi: da nord a sud, dai più piccoli ai più grandi, ci hanno messo la faccia. Alcuni sono punti di riferimento storici per intere generazioni, altri sono nati di recente: rappresentano i centri di aggregazione per grandi eventi o piccoli spazi che danno vita alla socialità locale. Tutti insieme si sono presi per mano per mandarci un segnale, aderendo a quella che a tutti gli effetti si intuisce essere una campagna di carattere nazionale: creando una mappa di punti interrogativi che costellano l’intero Stivale.

L’iniziativa porta a riflettere sulla condizione in cui si trovano i live club e le sale concerto. Attualmente, nonostante il ruolo enorme che questi spazi hanno in termini di creazione, promozione e diffusione di cultura, e il loro indiscutibile valore sociale, si può dire che siano stati pressoché ignorati dai numerosi decreti susseguitisi in questi mesi. Provvedimenti che hanno sì citato cinema e teatri in tema di spettacolo, ma non hanno dedicato la dovuta attenzione a queste realtà che rischiano di scomparire.

L’impatto di queste oltre novanta foto e i relativi interrogativi, decisamente, però non è trascurabile.

Quale sarà il prossimo passo?»

Nel nostro ruolo di cronisti supportiamo pienamente questi esercenti e dei loro dipendenti, perché alla fine parliamo di imprenditori e cittadini che contribuiscono fiscalmente alle casse nazionali come qualsiasi altro libero professionista, le differenze stanno nelle mille variabili ed incognite che il settore in cui operano offre da sempre, insidie storiche e cronicizzate che comportano fatiche da non sottovalutare.
La pandemia e le chiusure hanno colpito tutto e tutti, troppo spesso si trascura che i primi a chiudere sono stati i centri di aggregazione e socializzazione perché il virus trovava e trova proprio in queste situazioni terreno fertile di veloce proliferazione, questo fermo è stato ed è chiaramente giusto ma è anche lungo tanto quanto sono infinite le domande su tempi e modalità di gestione della crisi e di prospettive di riapertura.
Il fermo è tuttora in corso e ce ne accorgiamo sofferenti da utenti, perché fra chi è entrato in un club una sola volta nella vita o chi ha passato molti tramonti notti ed albe della sua esistenza ad un evento o festa organizzata sente il bisogno di incontrare amici o fare nuove conoscenze sorseggiando un cocktail con buona musica di sottofondo o casse a tutto volume a dare enfasi alla serata; si sente proprio la necessità di tornare a casa dal corso, dal centro dai navigli o dal lungomare per andare a letto con le orecchie che fischiano di voci e vibrano di bassi.
In Italia più che in altre nazioni europee ed extraeuropee, culturalmente si è guardato al settore dei locali serali/notturni e a gli eventi di aggregazione con “musica alta” con mentalità diffidente e criminalizzante, spesso gli organizzatori e gli imprenditori sono stati indicati come dei poco di buono festaioli o finanche “amici” della criminalità organizzata che alimentavano e ripulivano le casse di quest’ultima tramite le attività di aggregazione; addirittura in questi mesi si è ironizzato sui volumi d’affari realmente dichiarati dai più forti e rinomati a fronte di richieste di ristori arrivati mai o solo parzialmente.


Ogni proprietario di locale o organizzatore di eventi si è scontrato col vicino che si lamenta degli schiamazzi, col concorrente invidioso che denuncia i cattivi odori e scarsa igiene per limitare il successo altrui e persino con la maleducazione dei clienti sprezzanti delle regole del quieto vivere comune in rispetto di chi lavora per il divertimento altrui.
Spesso non è bastato il lavoro dei dipendenti, dei fornitori o della security per far funzionare tutto e limitare anche l’operato della criminalità. Solo da quest’ultima frase vengono fuori alcune delle figure e dei figuranti che recitano in questo settore, non sufficientemente regolarizzati ed agevolati nel loro mestiere, “attori” che bisogna considerare seriamente perché fanno per passione e per VIVERE un lavoro che qualcuno di noi ha assaggiato solo come lavoretto estivo o per arrotondare le finanze e gli studi: c’è chi VIVE di pubbliche relazioni e telefonate o lunghe trattative con agenzie di artisti, di cocktail da inventarsi e servire, di bibite e viveri da fornire, di cavi e strumenti da accordare e di tasse da pagare, di musica giusta da suonare ad un pubblico diverso di sera in sera pur non essendo un dj di fama globale; questi attori da un anno non stanno più recitando e si sentono dimenticati!

La fenomenologia nazionale ha radici molto radicate purtroppo negli anni, basti pensare a quanti templi del divertimento cadono abbandonati e fatiscenti lungo lo stivale, senza essere troppo poetici e malinconici parliamo di luoghi in cui sono nate amicizie, amori, passioni o mestieri e persino qualche schiaffo e spinta alimentato dai fumi dell’alcool, dell’euforia o di due gambe da capogiro.
Basta far zapping sul web, nei gruppi nostalgici sui social per vedere video o documentari (per citarne due “Mezzanotte Mezzogiorno” o “Disco Ruin”) che dimostrano come dagli anni ’60 ad oggi passando per i magici Anni’90 noi italiani siamo stati i migliori organizzatori e gestori dello svago pubblico, al punto di essere esempio di innovazione per il resto d’Europa. Purtroppo però si vedrà che anche in epoche passate si trovavano spunti per limitare un settore sempre traballante, come quando si diede la colpa del proliferare delle tossicodipendenze o delle stragi del sabato sera agli orari delle discoteche e agli after limitandone le aperture, invece che lavorare sulle cause e la cultura che portava all’eccesso.
Quello che non vorremmo vedere fra qualche mese è questo:

Nel resto del mondo non è mai andata diversamente basti pensare ad esempio alle annate delle retate nei locali francesi dove stava nascendo il “french touch”, ma ravvedendosi e rimodulando le politiche sociali poi sono nati i Daft Punk – Cerrone – Guetta – Solveig e many more.

Estratto dal libro Daft Punk Icons after all

Esistono anche esempi inversi come Germania e Paesi Bassi o Regno Unito dove lo svago notturno legato a doppio filo agli eventi e al clubbing è stato sempre visto come lo specchio di culture e di aggregazione da agevolare e tutelare, da supportare con scelte in materie di welfare e fiscalità al fine di trarne vantaggio per le casse nazionali attraverso i business che ne conseguono. Senza entrare nel merito di dinamiche politiche e amministrative sta succedendo anche oggi, in questi 12 mesi di pandemia e lockdown generalizzato anche nel resto d’ Europa e del mondo i grandi organizzatori di eventi stanno accusando il colpo e protestando con dimostrazioni stile BAULI IN PIAZZA (altra protesta fisica messa in scena in Italia nei mesi scorsi) ma non son trascurati e vivono la speranza di riaperture con diverso ottimismo.

Una doverosa occhiata va riservata agli spunti di evoluzione che con molti addetti del settore stiamo osservando a livello internazionale: tanti organizzatori di grandi eventi e festival si sono “reiventati” come creatori di eventi virtuali, abbiamo assistito ad eventi in free- streaming o a pagamento come il TOMORROWLAND di fine anno ad esempio.
Questi mega eventi virtuali richiedono altrettante professionalità e dispiego di forze in termini di sviluppatori ed esperti informatici, possono piacere oppure passare come soluzioni tampone, ma potrebbero avere anche in un futuro di nuova normalità almeno due prospettive antitetiche: saranno i festival di chi vorrà continuare a vivere nella socializzazione virtuale e saranno la risposta per le media agency e per i producer per scoprire immediatamente dal live virtuale i picchi di visualizzazioni in diretta e di like al plaiyng di una nuova traccia.
Le piattaforme social e le dirette dai profili di vip ed influencer stanno diventando ossigeno per rendere interessanti le quotidianità di tutti noi, al punto che le grandi multinazionali in maniera mediaticamente furba sfruttano queste piattaforme con la scusa di dar vita musicale al “rumore bianco“ generato maneggiando i loro prodotti. Sta però a noi ricordarci che la socializzazione ed il contatto vero lo abbiamo vissuto al localino sotto casa, andando in comitiva al club più importante della regione o aspettando un anno intero (facendo la corsa al biglietto) per andare al festival sognato. Dando importanza a tutto ciò riconosciamo il ruolo fondamentale degli operatori del settore alimentando la speranza per ripartire.

Ci pervade un minimo e sano senso di ottimismo perché in questi mesi abbiamo visto cambiare persino i generi musicali, se teniamo conto che la lo-fi, la deep e tech house (sonorità più lente) sono cresciute paradossalmente insieme al ritorno a ritmi dance tipici di fine anni ’80; ciò potrebbe comportare che i locali e le realtà più underground avranno nuova linfa offrendo spazio a nuove sperimentazioni come ponte prima di tornare ai megaeventi. Rifiutiamo assolutamente di pensare che quel punto interrogativo bianco trascurato diventi un punto nero, il 2021 non sarà “The Last Dancer” né sarà l’ “ultimo concerto”!

 

 

 

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