Salutato il fenomeno misterioso marshmello, protagonista della 14esima puntata (leggi qui); facciamo un salto indietro nel tempo e partiamo per un lungo viaggio, un viaggio alla scoperta della storia della musica elettronica (oggetto della mia tesina di maturità..che bei ricordi)!
Una puntata speciale scritta dal solito Valerio Pennati con l’aiuto di Jacopo Casalaspro, come regalo a tutti i nostri lettori proprio in occasione dell’edizione natalizia della rubrica youBEAT racconta.
Il nostro viaggio inizia molto molto lontano: siamo nella seconda metà dell’Ottocento quando viene inventato il fonografo, prima a rullo e poi a disco, che introduce la possibilità di registrare suoni, riprodurli e modificarli. Con questa invenzione si aprono diverse sperimentazioni, che arrivano anche alle radio nazionali di diversi paesi.
Nel 1897 viene inventato da Thaddeus Cahill il teleharmonium o dinamofono, ovvero il primo strumento elettronico mai costruito. Questo è dotato di una console di organo, ma le sue enormi dimensioni non gli permettono di avere successo nel mercato commerciale.
Successivamente viene inventato il triodo o audion e nel 1919 Lev Theremin da vita all’omonimo strumento musicale, costituito da due antenne in grado di controllare rispettivamente la frequenza e il volume, producendo così suoni simili a quelli della voce umana.
Dopo la seconda guerra mondiale, a metà degli anni quaranta, il miglioramento delle tecniche di registrazione permette la diffusione dei primi studi elettronici. Questi presentano già i primi apparecchi per le modificazioni e il mixaggio, insieme a tutto l’occorrente per la registrazione. Nello stesso periodo si diffonde anche il magnetofono che permette ai compositori di manipolare le registrazioni su disco, applicando così diversi effetti sonori. In questi anni tra i centri più importanti di musica elettronica troviamo il GRM di Parigi, il Columbia-Princeton Electronic Music Center dove furono inventati i primi sintetizzatori e lo Studio di fonologia a Milano.
Negli anni sessanta l’industria si orienta verso una tecnologia basata maggiormente sui transistor e questo contribuisce sicuramente allo sviluppo dei primi circuiti integrati commerciali, destinati a rendere più piccole tutte le tastiere.
Proprio grazie alle sue ridotte dimensione il Moog, inventato dall’omonimo ingegnere nel 1964, diventa il primo sintetizzatore largamente popolare. Questi nuovi sintetizzatori, concepiti per essere accessibili da tutti, sono in grado di modificare diverse proprietà del suono e di produrre così un’ampia gamma di suoni.
Diversi musicisti come Sbotnick, Babbitt, Kingsley, Garson, Perrey, Riley, Haack, il duo Beaver & Krause e i Silver Apples diventano i primi pionieri della musica elettronica per sintetizzatore.
Agli inizi degli anni settanta nel mercato vengono introdotte le prime forme di sistemi informatizzati: inevitabilmente, anche la musica viene influenzata da questa novità. Da questo momento ogni suono può essere creato artificialmente e la cosa bella di questo nuovo tipo di musica è l’immediatezza: un compositore deve aspettare molto tempo dal momento in cui il pezzo è scritto sulla carta, al momento in cui viene esibito in una sala da concerto, invece un produttore di musica elettronica sente direttamente i suoni mentre vengono creati.
Molti produttori decidono così di utilizzare i sintetizzatori per alcuni importanti motivi: innanzitutto non riescono ad ottenere il suono che vogliono con strumenti ordinari, poi si possono creare ritmi più veloci che i musicisti con semplici strumenti non possono raggiungere e infine per la qualità del suono.
Le oscillazioni vengono prodotte quando la corda di un contrabbasso viene fatta vibrare, oppure quando si muovono le dita su un flauto; allo stesso modo, il sintetizzatore è in grado di creare e modificare suoni, che vengono interfacciati con altri strumenti, per esempio una tastiera.
Un ruolo fondamentale per lo sviluppo della musica elettronica ce l’ha il gruppo tedesco dei Kraftwerk che, ispirandosi alla pop e alla disco music, pubblica alcuni album caratterizzati da ritmi robotici ed atmosfere futuriste. I Kraftwerk possono essere considerati i veri pionieri della musica elettronica, permettendo la nascita del synth pop, della techno e di molta industrial.
I Kraftwerk (a cura di Jacopo Casalaspro)
Al terzo anno di università a lezione avevamo un professore un po’ eccentrico, un “tuttologo”.
Il classico professore al quale puoi chiedere una cosa su qualsiasi tema e lui ti sa dare la risposta. Un giorno in pausa aveva iTunes aperto, allora gli chiesi quale genere musicale ascoltasse. Mi rispose facendomi ascoltare della stranissima musica giapponese. Ma non è questo il punto. Quando gli dissi che io ascoltavo musica elettronica lui mi chiese “li conosci i Kraftwerk?”.
Mi aveva spiazzato, il nome mi diceva qualcosa, ma non sapevo realmente quali canzoni avessero prodotto. Me li fece ascoltare lui. Ecco, erano la prima band che produceva musica elettronica, 40 anni prima degli Swedish House Mafia!
Il nome del gruppo significa letteralmente “centrale elettrica”, nome dato al progetto da due ragazzi, Florian Schneider e Ralf Hutter, che frequentavano lo stesso conservatorio a Dusseldorf. Sono ben undici i loro album in studio, una settantina le canzoni prodotte. Hanno scardinato tutte le regole base delle band dell’epoca, registrando tracce senza un batterista, ma avvalendosi di una drum machine. Sintetizzatori, strumenti elettronici, il tutto completato grazie all’utilizzo del Moog, che non è altro che un sistema di sintetizzatori basato su tastiera (utilizzato anche da un altro dei pionieri di questo genere musicale, il nostro connazionale Giorgio Moroder, ndr).
Non solo musica sperimentale da ascoltare, ma musica che vuole insegnare qualcosa e lanciare chiari messaggi. L’album “Radio-Activity” ne è il chiaro esempio: attraverso i testi delle canzoni e la copertina (che ritrae un’immagine del gruppo e il disegno di un’antenna che emette onde elettromagnetiche, ndr) si vuole parlare di un grande problema di quel tempo che era l’uso dell’energia nucleare, dell’inquinamento radioattivo e della radio. Ricordiamoci che in quegli anni c’era molta censura all’interno del paese e molta disinformazione, soprattutto in Germania dove ancora esistevano le due fazioni politiche.
Il nome del gruppo era sulla bocca di tutti, la loro musica era arrivata anche ad esponenti importanti della società. Per l’esposizione universale di Hannover del 2000, viene creato un brano ad hoc, Expo 2000 appunto, che diventò il motto ufficiale del grande evento. In tv e in radio era questo il jingle che accompagnava gli spot dell’avvenimento. Ci sono voluti poi altri 16 anni per chiamare un altro esponente di musica elettronica che collaborasse per un grande evento internazionale, ovvero David Guetta che ha prodotto la canzone ufficiale degli Europei di calcio 2016 in Francia e aperto la manifestazione in diretta tv con un dj set.
Concluso questo (dovuto) capitolo a parte per i Kraftwerk, torniamo a ripercorrere la storia della musica elettronica.
A partire dalla seconda metà degli anni settanta i musicisti, grazie alla tecnologia dei microprocessori, iniziano ad adoperare il computer che, attraverso le tecnologie MIDI, può essere collegato ad altre apparecchiature in modo da gestirle tutte contemporaneamente. Nei primi anni ottanta iniziano ad essere usati anche i primi microcomputer che presentano funzioni nuove, prima praticabili solo con determinati e particolari macchinari. Nello stesso periodo con l’avvento di nuovi computer, come il Commodore 64, emerge anche la chiptune, una tecnica compositiva usata nelle prime colonne sonore dei videogiochi. Nel 1981 Brian Eno e David Byrne incidono l’album “My Life in the Bush of Ghost”, molto influente negli anni seguenti e destinato ad inventare la musica incentrata sui componimenti.
In questi anni sale alla ribalta anche uno dei più grandi produttori e compositori italiani di sempre, ovvero Giorgio Moroder. Il gardenese si afferma tra i più importanti artisti nell’ambito della disco music e pubblica numerosi dischi realizzati con il sintetizzatore, ispirandosi proprio ai Kraftwerk.
[Per scoprire di più sulla storia di Giorgio Moroder leggi: youBEAT racconta: Giorgio Moroder [Puntata #08] – youBEAT®]
Negli anni ottanta si evolve maggiormente e diventa popolare la figura del dj: da figura professionale che si limita a riprodurre dischi a vero e proprio intrattenitore che modifica e incrocia tra loro canzoni o fonti sonore preesistenti per creare nuova musica. Proprio l’etimologia “to jockey” significa montare a cavallo e quindi disc jockey indica colui che “cavalca la musica”. Durante la seconda metà degli anni ottanta la figura del dj emerge sempre di più nelle città di Chicago e New York, dove si sviluppano i rave parties, raduni illegali che avvengono in fabbriche o altri edifici dismessi.
Con la diffusione della cultura rave si affermano anche la house di Chicago e la Detroit techno, due generi che influenzano notevolmente la musica di tutti gli anni successivi. In questi anni a Chicago cresce anche la figura di Frankie Knuckles, considerato il padrino della musica house, per poi arrivare alla grande scalata di Carl Cox.
Tra il 1986 e il 1989 in Inghilterra sono esportati numerosi album e singoli di musica elettronica da ballo americana. Grazie alla loro popolarità si crea così anche la scena rave britannica. Successivamente, con la diminuzione dei costi delle apparecchiature elettroniche, nascono numerosi musicisti elettronici e dj inglesi, contribuendo così a rendere popolare la musica elettronica anche in tutta Europa. Proprio grazie alla riduzione dei prezzi delle apparecchiature, durante gli anni novanta, aumentano il numero di dj e compositori che, ispirandosi a generi musicali precedenti, danno vita a nuovi “linguaggi” musicali.
Fra essi vi sono la trance music, l’eurodance, il big beat, il trip hop, la techno hardcore, la glitch music, la UK Garage, la dubstep e il primissimo electroclash. Tra i più importanti musicisti che salgono alla ribalta in questo decennio troviamo Aphex Twin (considerato uno dei più importanti esponenti dell’ambiente techno e della idm), i Future Sound of London (tra i primi a sfruttare a fondo le possibilità tecnologiche di internet per comporre musica elettronica) e Richie Hawtin (considerato l’inventore della minimal techno).
Con l’avvento del nuovo millennio migliorano anche i software musicali che semplificano notevolmente il metodo di composizione della musica elettronica, rendendo così possibile la realizzazione della musica tramite l’ausilio del solo computer. Negli anni duemila ottengono grande successo stili come il French Touch, che ha i Daft Punk tra i suoi più celebri esponenti. Proprio il duo francese, che cela la sua identità sotto delle maschere da robot, ottiene un successo planetario grazie alle loro produzioni elettroniche che rappresentano qualcosa di particolarmente innovativo per quegli anni. Insieme alla French Touch si sviluppano anche altri stili quali il grime e, in anni più recenti, il moombahton e la trap.
Infine arriviamo ai giorni nostri: la figura del dj è ormai diventata molto popolare e sono nati anche numerosi festival dedicati esclusivamente ad un particolare stile di musica, in cui si esibiscono i migliori dj al mondo in quel determinato stile.
Inoltre con la semplificazione e la produzione di numerosi software di produzione tutti si possono cimentare nell’arte del mixaggio delle canzoni e della creazione di musica.
Siamo così giunti alla fine del nostro lungo viaggio all’interno della musica elettronica:
sono passati più di 150 anni di storia dal fonografo di metà ottocento alle nuove tecnologie musicali, quello che unisce ora come allora le persone è proprio la grande passione per la musica.
Iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e laureato in Linguaggi dei Media presso l’Università Cattolica di Milano, collaboro con il Giornale di Lecco e il Giornale di Merate. Sono Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa per la Pallavolo Cisano, società che milita nei campionati di serie A. Appassionato di sport e di musica, sono cresciuto insieme a youBEAT.