L’ennesimo caso, l’ennesima decisione sbagliata.
Era da un po’ di tempo ormai che la voce girava e da poco è stata annunciata la revoca permanente della licenza con la conseguente chiusura del club Fabric, uno dei locali più iconici della cultura underground londinese.
Neanche da citare la motivazione, infatti ancora una volta ci troviamo davanti ad una chiusura causata dalla morte di due giovani ragazzi riconducibile all’uso di sostanze stupefacenti.
Metto le mani avanti, per evitare fraintendimenti, e chiarisco subito che sono totalmente contrario all’uso di droghe, leggere o pesanti che siano, e che l’uso di queste sostanze, a mio parere e non solo, è tanto inutile quanto pericoloso.
Ma diciamo le cose con ordine: il Council di Islington ha deciso dopo un tira e molla di notevole entità di chiudere a tempo indeterminato il club londinese poichè, proprio al suo interno, ci si può procurare e si può consumare droga ed il fenomeno non riesce ad essere contrastato nemmeno tramite i controlli di sicurezza.
Partiamo dal presupposto che se questa è la motivazione, mi dispiace dare questa notizia ai più ingenui di voi, ogni club di una certa importanza e ogni singolo festival dovrebbe essere chiuso per sempre.
Questa non è una scusante, ma dobbiamo renderci conto che impedire completamente l’uso di droghe all’interno dei locali è praticamente impossibile; facendo degli esempi credo che tutti siamo d’accordo sul fatto che qualche pastiglia può essere facilmente nascosta a qualsiasi controllo che, anche nel più minuzioso dei casi, non può oltrepassare un certo limite. Inoltre ammettiamo anche che si riuscisse a evitare che qualcuno introduca sostanze nel club, nessuno mi vieterebbe di procurarmela in strada e consumarla poco prima dell’entrata in modo da non destare alcun sospetto.
L’unico vero modo per evitare queste tragedie è prevenire che ad un ragazzo possa venire anche solo l’idea di provare una sostanza stupefacente.
Le modalità con cui un clubber può venire a contatto con un qualsiasi tipo di droga, parlo anche per esperienza personale, sono due: che la cerchi di sua spontanea volontà o che gli venga offerta. La prima situazione è facilmente evitabile con un po’ di buon senso, la seconda con una pacca sulla spalla, un sorriso e una semplice negazione.
“NO”, una normale risposta.
In tutto questo credo sia chiaro come il locale non sia colpevole dell’accaduto o comunque non totalmente. La chiusura è inutile oltre che negativa per tutti quei clubbers che han sempre vissuto la loro passione e che vogliono continuare a farlo. Online infatti è possibile trovare anche una petizione firmata in poco tempo da moltissime persone che in questi giorni hanno cercato di dare il proprio contributo solidale per la riapertura dello storico club londinese.
Credo che molti possano condividere il mio scetticismo. Alla fine anche in Italia di casi simili ne abbiamo avuti, non voglio tirare fuori di nuovo la storia trita e ritrita del Cocoricò, su cui si è già discusso abbastanza, ma la situazione è analoga e dopo la chiusura forzata per 4 mesi non penso che al suo interno sia cambiato molto, nonostante non abbia ancora constatato di persona.
Ecco le parole del nuovo sindaco di Londra Sadiq Khan:
Ciò di cui bisogna rendersi conto è che il problema non nasce nel locale, ma molto prima: nasce dalla singola persona e dalla strada che, seguendo il ragionamento fatto dalle autorità inglesi, a questo punto dovrebbe essere chiusa.
La speranza comunque è che la vicenda non finisca qui, lo stesso Alan Miller, presidente della Nightlife Industries Association ha spiegato come cercherà la solidarietà di chiunque capisca l’insensatezza della decisione creando il Fund For Fabric per contrastare la chiusura del club.
Laureato in Informatica presso l’Università Statale di Milano, appassionato di musica elettronica e sound design.
Autore delle rubriche “Serum Tutorial” e “The Dark Side of EDM”.